|
UN BELLO SPETTACOLO, AL COMUNALE DI S.
SEVERINO, IL I FEBBRAIO 2019. CON FEDERICO SALVATORE
Buona la… terza al teatro comunale di Mercato S. Severino: il terzo
(appunto) spettacolo per la rassegna 2018/2019 è stato quello
dell’istrionico artista partenopeo Federico Salvatore. L’attore ha portato
in scena “Malalengua” – da lui scritto e diretto – che irride (in modalità
sarcastica e irriverente) i difetti e le contraddizioni della “sua” Napoli.
Un folto pubblico accalcava la struttura in via Trieste, il primo febbraio
scorso alle 21. Il popolare cantante e attore non si è di certo smentito,
nell’approcciarsi all’uditorio: è sembrato molto a suo agio sul proscenio, a
partire dall’ingresso al palco. In stile/tono colloquiale – molto informale.
Ha dato luogo ad una “visione” grottesca sulle criticità e le negatività (a
volte ataviche, “storiche”) della bella Napoli. Edenico centro del Regno
delle Due Sicilie, tanto vagheggiato da Goethe (autore de “Il viaggio in
Italia”). Ma non solo. Infatti la città della ninfa/sirena Partenope (in
greco, “vergine”) non è soltanto il luogo di nascita di Totò e di Pino
Daniele (omaggiati e/o, in qualche modo, ricordati da Salvatore nel corso
del recital o espressione di teatro/canzone) ma anche un luogo denso di
forti ed aspri contrasti sociali e culturali. Nell’acuta disamina del
poliedrico Federico Salvatore, molto si salva della… “napoletanità” – ma ci
sono anche cose che degradano, vituperano e mortificano, purtroppo, la città
dolente. Una di queste è certamente la droga (nella fattispecie, la
cocaina), ricordata in più passaggi dell’esibizione del personaggio. E poi
esiste il razzismo, esplicitato e illustrato da Salvatore in alcuni
riferimenti. Ad esempio, parlando del “matrimonio” tra Merdella e Strunzillo
– due deiezioni, una di “umili” e basse origini e l’altro di Posillipo – a
mo’ di “Livella” di Totò; oppure quando narra della storia della cozza nera
e del totano bianco, sul modello di “Romeo e Giulietta”; oppure tramite la
gag “telefonica… sgrammaticata” in cui il Nostro pronuncia il cognome
Caracciolo cambiandone l’accento. Tanto il “materiale” (se così possiamo
affermare) di cui discutere, nell’ambito della pièce. Convincente e gasata,
ritmica, briosa. Anche grazie alla band di quattro validi e competenti
elementi, tutti abilissimi a creare un’atmosfera soffusa, di suoni e
ballate. Nel complesso, Salvatore si è dimostrato irriverente – come
usualmente – ironico, sornione, autoriflessivo ma non autoreferenziale. Per
un intelligente intrattenimento allo stato puro. Già dagli inizi della
“apparizione” in teatro; quando si è rivolto – idealmente – ai giovani di
oggi, del 2000. Che usano (spesso passivamente) costosi smartphone, ma non
sanno reagire alle provocazioni. Secondo il Salvatore-pensiero, la mala
parola, la mala lingua – quando è ben diretta, motivata, canalizzata e non
gratuita – ha un forte valore, una valenza simbolica liberatoria e
apotropaica. Tra gag e riflessioni, in due ore di spettacolo, tanti gli
spunti di impegno sociale da parte di Salvatore. Che, già dal 1996 – quando
è salito sul palco del festival di Sanremo – ha dimostrato di saper tener
testa appunto all’impegno civico, “accantonando” (ma mai rinnegando) la vis
comica che lo ha caratterizzato agli esordi (si è imposto alla notorietà del
“grande” pubblico anche grazie al “Maurizio Costanzo show” – anche nel ‘95).
Con la canzone “Sulla porta”, che tante polemiche innescò – verteva
sull’omosessualità – giunse al tredicesimo posto. Ma ormai il dado era
tratto, il sasso lanciato nello stagno della “mediocrità” (in senso
metaforico) sanremese. E così, il guitto di “Azz” diventa paladino dei
diritti umani, o quantomeno attore “impegnato”. Federico Salvatore, ha
dichiarato rivolgendosi agli spettatori nel corso dello show, preferisce
comunque il teatro alla tv. In entrambi i contesti, ha mietuto e miete
successi. Ma – probabilmente – il teatro è più diretto e meno ipocrita. “Malalengua”,
quindi. Tra le sputacchiate “giustificate” di Pulcinella, tra gag a gogo e
riflessioni “serie” (amare?). Il Nostro è risultato essere affabile e sicuro
di sé, dialogando col suo uditorio. A sua volta attento, partecipe,
divertito. Che ha fatto da contraltare alla verve scoppiettante, esplosiva e
caratteristica – originale… Per un bell’esempio di teatro/canzone – con
tematiche cogenti e ispirate o legate all’attualità. Mettendo alla berlina –
sarcasticamente – i difetti, i contrasti, le contraddizioni e le
esasperazioni di tutto il Meridione. Non vani, infatti – nelle intenzioni
dell’attore – i continui ed “accorati” richiami a Garibaldi (e ad altri
personaggi storici o della società) e al concetto stesso di libertà. Una
recitazione convincente, particolarmente intensa. Validi anche i quattro
musicisti ad accompagnarlo nella… “avventura”. In cui ride della modernità e
del progresso; egli è “passatista” per sua stessa ammissione. E comunque
brioso, accattivante. Attraverso tempi e mode, affabulando. Godibili i suoi
“doppi sensi” – ammiccanti, ma mai volgari. Lo spettacolo, nel complesso, è
risultato piacevolissimo. Il ritmo, molto sostenuto. Immerso in una
particolare atmosfera, calda e soffusa; la musica stessa non è stata mai
preponderante, mai aggressiva. Tra calembour e giochi di parole; in
un’apologia del “chitemmuorto” pulcinelliano. Le immagini metaforiche sono
indovinate, vivide e geniali. Una performance accorata, realista, cruda,
dura. Attualizzata. Leggera, tra il serio e il faceto. Sdoppiato, quasi,
Federico – nei panni di un altolocato – e Salvatore, un (autentico)
“cafone”. Ed infine, per tutti i gusti, una… “sfiziosa” ninna nanna, per una
bambina che non vuole – “complice” la madre che tarda a tornare a casa –
addormentarsi, provocando l’ira e le… “simpatiche” contumelie del papà –
stanco e irritato. Magistrale, questo attore. Come pochi.
Articolo di: ANNA MARIA NOIA
|
|